Ecco i principi di diritto affermati:
“In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito con l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge”
“In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”
La Corte ha quindi riaffermato la validità dell’orientamento espresso in ordine ai limiti di applicazione del d.l. 113/2018 (Cass. Civile, 4 febbraio 2019, sentenza 4890), affermando che il procedimento – di natura dichiarativa, quello giurisdizionale, esercizio di attività vincolata, ricognitiva dei presupposti di legge, quello amministrativo – non incide sull’insorgenza del diritto a protezione umanitaria che trova il “fatto generatore” nella vulnerabilità da compressione (rectius, rischio di compressione) dei diritti fondamentali. Parimenti riaffermata la validità, ai fini dell’accertamento del diritto a protezione umanitaria, del criterio della valutazione comparativa effettiva tra il grado di integrazione socio-lavorativo in Italia e la situazione oggettiva e soggettiva del richiedente protezione nel Paese d’origine, finalizzato alla verifica della condizione di privazione o compressione della titolarità dell’esercizio di diritti umani (diritti congeniti) al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (approccio inaugurato con sentenza 23 febbraio 2018, n. 4455).
Cassazione, Sezioni Unite Civili, 13 novembre 2019, sentenza n.29459