Cassazione: in tema di protezione internazionale gli atti di violenza domestica possono integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art.14 lett. b., d.lgs. n.251 del 2007.

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a cura della Dott.ssa Martina Onesto

Per la domanda di protezione fondata su violenza domestica, la Cassazione afferma l’obbligo di esercitare i poteri-doveri istruttori d’ufficio sulla specifica questione dedotta e acquisire informativa sul Paese, con espresso riguardo alla condizione di donna sola in Nigeria e alla mancanza di tutela da parte delle autorità: è accolto il ricorso che eccedpisce vizio ex art. 360 co.1 n.5 c.p.c. e la sentenza cassata.

“In tema di protezione internazionale, gli atti di violenza domestica, così come intesi dall’art.3 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, quali limitazioni al godimento dei diritti umani fondamentali, possono integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ex art.14 lett. b., d.lgs. n.251 del 2007, in termini di rischio effettivo di “danno grave” per “trattamento inumano o degradante”, qualora risulti che le autorità statali non contrastino tali condotte o non forniscano protezione contro di essendo frutto di regole consuetudinarie locali (Sez.6-1, Ordinanza n.12333 del 17/05/2017 Rv. 644272 Sez.1-, Ordinanza n.23017 del 21/10/2020 Rv.659237).
Nel caso in esame, la ricorrente aveva dedotto l’esistenza di episodi di violenza domestica e la mancanza di protezione delle autorità locali: il ricorso infatti riporta i passaggi dell’atto introduttivo nel giudizio in Tribunale in cui faceva espresso riferimento alle violenze domestiche subite da parte dei parenti (…). Ebbene, a fronte di tali plurimi elementi di fatto forniti dalla parte (certamente aventi un peso, se dimostrati, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria), il Tribunale è incorso nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo controverso in giudizio, perché si è limitato ad un lapidario giudizio di genericità in ordine alle violenze perpetrate dallo zio della richiedente e, soprattutto, ha trascurato completamente la tematica della condizione di donna sola in Nigeria e della relativa tutela da parte delle autorità, pure oggetto di dibattito. La motivazione che ne risulta è quindi meramente apparente, inidonea a soddisfare il “minimo costituzionale” capace di sorreggere il decisum anche nell’attuale codificazione del vizio di motivazione cristallizzato nel nuovo testo dell’art. 360 n.5, cod. proc. civ.”

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