Cassazione Civile, sentenza n.14238 del 4 giugno 2018

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Nel giudizio avente ad oggetto l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore straniero ai sensi dell’art. 31, terzo comma, d.lgs. 286/98, la sussistenza di comportamenti dal familiare medesimo incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale deve essere valutata in concreto e attraverso un esame complessivo della sua condotta, al fine di stabilire, all’esito di un attento bilanciamento, se le esigenze statuali inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria.

L’art. 31 del d.lgs. 286/98 delinea due distinte situazioni giuridiche soggettive: da un lato, il diritto del minore ad avere l’assistenza e la cura del proprio familiare in Italia; dall’altro, il diritto del familiare a dare assistenza al minore stesso, in ragione della tutela di “quel particolare bene della vita costituito dall’unità della famiglia e della reciproca assistenza tra i suoi membri“. Si tratta di due posizioni complementari, di cui quella del familiare subordinata a quella del minore, titolare di un diritto che costituisce l’oggetto primario della tutela apprestata. L’interesse del familiare ad ottenere l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale riceve tutela in via riflessa ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo psico-fisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonché la ragione unica del provvedimento autorizzatorio.

Lo stesso art.31 introduce un parametro esterno a quello che, come detto, costituisce il bene giuridico tutelato, in quanto conferisce rilievo ostativo ad attività del familiare incompatibili con la sua permanenza nel territorio nazionale, sia nel caso in cui siffatte attività siano sopravvenute sia, a fortiori, nel caso in cui vengano riscontrate dal Giudice già al momento del primo rilascio. L’accertamento dell’incompatibilità della condotta dell’istante impone tuttavia un giudizio di bilanciamento tra la protezione del benessere psico-fisico del minore (incluso il suo diritto al mantenimento dell’unità familiare) e la tutela dell’ordine pubblico, da svolgersi alla stregua dei parametri dettati da norme interne ed internazionali (così come precisati dalla giurisprudenza nazionale ed europea) onde verificare se il rigetto dell’istanza, rappresentando un’interferenza nella vita familiare del richiedente, costituisca una misura necessaria e proporzionata al fine perseguito, tenuto conto che il carattere fortemente derogatorio della norma comporta che l’interesse del minore si trovi in una posizione di preminenza tale da imporre al giudice di considerare in ogni singolo caso quale delle soluzioni possibili sia ad esso più favorevole.

Nel caso di specie, la valutazione svolta dalla Corte d’Appello di Napoli risulta esclusivamente incentrata su una presunzione di pericolosità discendente dal disposto normativo dell’art.4, comma 3, d.lgs. 286/98, cui l’articolo 31 consente invece di derogare alla ricorrenza dei “gravi motivi“, stabilendo, invero che l’autorizzazione possa concedersi “anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico“. La pronuncia non tiene inoltre in debita considerazione il possibile pregiudizio psico-fisico che verrebbe arrecato ai tre figli minori in conseguenza dell’allontanamento dai genitori o dello sradicamento dal contesto di vita attuale, basandosi invece su valutazioni non confortate dalla giurisprudenza della S.C. (assenza di situazioni di carattere eccezionale) e che risultano apodittiche ed ingiustificate (i figli sarebbero comunque privati del sostegno dei genitori a seguito della loro carcerazione).

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