Al richiedente schiavizzato in Nigeria non può essere negata protezione solo per la natura privata del persecutore (caso di violenza domestica).

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In tema di protezione internazionale, l’art. 3, co. 3, lett. c, d.lgs. 251/07 impone di valutare adeguatamente la situazione individuale del richiedente e l’art. 3, co. 4, d.lgs. cit. considera “serio indizio” di fondatezza della domanda il fatto che egli abbia già subito persecuzioni o danni gravi: pertanto, al richiedente ridotto in condizioni di schiavitù da uno zio paterno sin dall’infanzia non può essere negata protezione solo in considerazione della raggiunta età adulta, tenuto conto del lungo corso dei maltrattamenti patiti, che potrebbero avergli impedito di raggiungere quell’autonomia tale da potersi sottrarre ad analoghe situazioni di schiavitù e chiedere tutela alle autorità locali. Inoltre, gli atti di “violenza domestica” di cui all’art. 3 della Convenzione di Istanbul, anche se posti in essere da soggetti privati (addirittura familiari), integrano i presupposti della persecuzione qualora le autorità statuali non le contrastino o non forniscano protezione, ragion per cui è dovere del Giudice acquisire specifiche COI sul Paese d’origine al fine di accertare la tutela ivi ottenibile.

Massima a cura del dott. Daniele Casola

Cassazione Civile, ordinanza n.23017 del 15 settembre 2020

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